Dalla dipendenza dalle droghe alla dipendenza dalla corsa.
“Non fallisce chi sbaglia, ma chi non fa dei propri errori un motivo per migliorarsi”
Oggi ne è uscito completamente Cesare, ma in una video-intervista realizzata con i ragazzi dell’IPSSAR Mattei di Vieste (FG), racconta i suoi percorsi da consumatore regolare di sostanze stupefacenti e come ne sia uscito vincitore portando a casa tante medaglie.
La ricerca in internet ha indirizzato in modo quasi automatico agli articoli pubblicati sui siti OglioPoNews e Oltre il Limite. Articoli che hanno incuriosito gli studenti del “Mattei” poiché erano tutti incentrati sulla vita di un giovane maratoneta dall’adolescenza difficile. Impegnati in un progetto Erasmus+ contro le dipendenze, gli studenti italiani, insieme a quelli di altre istituzioni scolastiche e ad associazioni di 6 Paesi dell’area europea: Regno Unito, Turchia, Romania, Grecia, Polonia e, ovviamente, l’Italia, stanno affrontando il serio problema delle dipendenze. Infatti è sempre più preoccupante il consumo smodato di sigarette, bevande alcoliche e l’uso di sostanze stupefacenti tra gli adolescenti.
Il titolo del progetto “Wholesome Living – Substance Abuse is a Self Abuse” reca in sé la dannosità delle sostanze che creano dipendenza, quali alcol, fumo e droga e il progetto stesso mira, con una serie di attività, ad acquisire buone pratiche che mirino al miglioramento dello stile di vita dei giovani adolescenti.
Tra queste attività c’è la realizzazione di “Reach Success”, una rivista digitale in lingua inglese, che raccoglierà interviste ad ex-tossicodipendenti di ciascun Paese partner, che sono riusciti ad uscire dal tunnel della dipendenza adottando uno stile di vita sano.
Cesare Barbieri, un ex-tossicodipendente che, giorno dopo giorno, è riuscito a modificare radicalmente la sua esistenza, il suo stile di vita, diventando un maratoneta. Dopo aver toccato il fondo perché completamente soggiogato dalla dipendenza della droga, finisce in carcere e qui rifletterà sul senso della propria esistenza e troverà nello sport e nel vivere sano la forza di andare avanti. Lo sport diventerà la sua palestra di vita.
L’esperienza di Cesare Barbieri è diventato motivo di profonda riflessione per gli studenti: aver avuto la possibilità di dialogare via web con lui è stata cosa positiva, vero ascolto di un vissuto. Le loro domande erano piene di interesse e le sue risposte li hanno portati a riflettere profondamente.
RAFFAELA POTENZA (IV ENO B ): Immagina di essere davanti ad uno specchio e di guardare Cesare com’era nel momento in cui faceva uso di sostanze e poi vedere com’è adesso. Cosa vedi e cosa provi?
CESARE: Ripensando a me stesso e a quello che ho vissuto, ripensando a come mi ero ridotto, provo compassione per me stesso. Quell’immagine, oggi, è una figura lontana, ma che mi è servita per diventare quello che sono oggi: una persona che sente il bisogno di comunicare ai giovani quanto era sbagliato quel modo di lasciarsi andare. Oggi sono felice anche solo di essere qui a parlare con voi, consapevole del fatto che molti miei amici, che hanno vissuto la mia stessa situazione, oggi non hanno più la possibilità di farlo.
NICOLA MARRONE (V ENO A): Quando dici che molti dei tuoi amici non hanno la possibilità di raccontare, a cosa ti riferisci?
CESARE: Mi riferisco al fatto che ora non sono più qui, ma ci guardano da lassù, purtroppo. Uscir fuori da una situazione così grande, non è semplice, e molte persone non ce la fanno, a volte irrimediabilmente.
NICOLA MARRONE (V ENO A): C’è stato qualcuno o qualcosa che ti ha aiutato a capire che qualcosa non andava?
RISPOSTA: In realtà ho sempre saputo che ciò che stavo facendo era sbagliato, ma ho capito di essere arrivato al limite quando sono stato arrestato. In cella ho avuto modo di pensare e di riflettere su me stesso e su quella che era diventata la mia vita. Ma , soprattutto, dovevo mettere al corrente mia madre della situazione che stavo vivendo. Premetto che mia madre era completamente ignara fino a quel momento che io mi facevo di eroina e ho dovuto informarla nel modo in cui mi è sempre spiaciuto fare, cioè alzando le maniche della felpa e mostrando le mie braccia. Quindi sì credo che l’arresto mi ha fatto capire di essere arrivato al limite. Fino ad allora c’era la consapevolezza di sbagliare, ma l’unica priorità in quel periodo per me era solo addormentarmi “fatto” e svegliarmi con la voglia di trovare qualcosa per “farmi”…
VINCENZO RUBINO (IV ENO B): Quando incontri i ragazzi nelle scuole, qual è il consiglio che dai?
CESARE: Non do consigli, perché servono fino ad un certo punto. Sta a ciascuno di noi decidere cosa fare nella nostra vita, ma bisogna stare attenti perché ci vuole un attimo per passare dalla prova di una sostanza alla dipendenza, e se si arriva a quel punto non bisogna aver paura di chiedere aiuto.
ANGELA SHTJEFNI (III SALA A): I primi inviti a “farsi una canna” fanno leva su argomenti come: “farsene una ogni tanto non vuol dire essere un drogato”, “la marijuana non fa male”, e così via. Come dovrebbe reagire un ragazzo per rifiutare senza fare la figura del codardo?
CESARE: Non si è codardi nel dire di “NO” a qualcosa che non si vuole fare. I miei genitori si sono separati quando ero piccolo e per questo avevo poca disponibilità economica. Non potevo permettermi di comprare abiti costosi come i miei coetanei, ma nonostante questo non mi sono mai sentito sottovalutato. Per questo vi dico che non è importante seguire la moda per essere accettati dal gruppo.
ILENIA DI PALMA (III SALA A): La gente che sapeva del tuo problema con la droga che tipo di approccio aveva nei tuoi confronti?
CESARE: Quando le persone a me vicine stavano per scoprire qualcosa, io le allontanavo perché volevo rimanere nascosto.
ILENIA DI PALMA (III SALA A): Tua madre non si è mai accorta di niente?
CESARE: No, mia madre non si è mai accorta di niente, perché in casa quasi non ci incontravamo. Quando lei usciva per recarsi al lavoro io dormivo, e quando lei rientrava io ero già in giro. Mia madre era anche abbastanza tranquilla , perché pensava che io frequentassi “bravi ragazzi”. La realtà è che a 17 anni ho iniziato a fumare le prime canne con i miei compaesani, poi ho iniziato a spostarmi nei paesi vicini e da lì è iniziata la discesa della mia vita. Mai madre lo ha scoperto solo quando sono stato arrestato.
GIULIO DEL VENTO (IV ENO A): Come ti procuravi i soldi per comprare “la dose”?
CESARE: Non rinnego ciò che ho fatto nel passato, ma di questo mi vergogno davvero… Rubavo. La prima vittima dei furti è stata mia madre: le ho portato via dei soldi, i suoi gioielli, qualche mobile. Poi ho rubato nei cimiteri, le borse delle vecchiette, ai malati e addirittura nelle cassette delle offerte in chiesa. Non ho mai fatto né partecipato a rapine, ma questo non rende migliore.
GIULIO DEL VENTO (IV ENO A): Perché affermi che lo sport ha cambiato la tua vita?
CESARE: Quando ero in comunità il mio fisico era molto debole. Lì ero obbligato a seguire delle regole molto rigide e ho trovato lo svago nelle camminate all’aria aperta. Dopo cento metri sentivo, però, che il mio corpo era già molto affaticato. Così ho avvertito il bisogno di stare meglio. Così ho iniziato a correre e ogni giorno mi ponevo l’obiettivo di correre cento metri in più. Così ho iniziato una vita più sana. Oggi vivo senza droga, senza alcool, senza sigarette e ne vado molto fiero.
CARMINE PECORELLI (III ENO C): A quali corse vorresti partecipare in futuro? E quali risultati ti aspetti dalla corsa?
CESARE: Il sogno di ogni persona che corre come me è andare a fare la maratona di New York. Purtroppo per me ha un costo un po’ elevato, si parla di 1000-1500€ tra volo, numero di pettorale e così via.
Cosa mi aspetto dalla corsa? Mi aspetto che mi faccia stare bene come mi fa stare bene adesso. La corsa per me è una valvola di sfogo importante. I risultati? Io sono vittorioso ogni volta che arrivo, che taglio il traguardo, vinco io. É una battaglia personale contro me stesso. Sicuramente mi aspetto di arrivare sempre al traguardo, questo è il minimo.
GRAZIA PERES (III ENO C): Come stai vivendo la tua esperienza come operatore volontari o all’interno della comunità?
CESARE: É un’esperienza importante per me, perché trasmetto in qualche modo quello che mi è stato insegnato e mi ha portato ad essere quello che sono oggi. Sinceramente devo dire che la comunità e le comunità, in generale, sono cambiate. É cambiato il genere di tossico-dipendenza, perché le sostanze sono diverse da quando le assumevo io. Ci sono più giovani, le droghe son cambiate. Per quando riguarda me, la mia esperienza in comunità è sempre bella, è bello tornare in un posto che mi ha fatto rinascere, ed è sempre bello dire ai ragazzi e far capire loro che quello è il posto ideale e giusto per cercare di cambiare nella vita e per dare una svolta alla vita come l’ho data io. Inoltre penso che oggi sia anche più difficile perché, quando io ero in comunità, non davano molti farmaci a supporto della disintossicazione. Oggi i SERT, che sono i servizi per i tossicodipendenti, e le comunità stesse danno principalmente farmaci e con il farmaco è difficile uscirne fuori in modo sano e pulito.
Prima di concludere, vorrei ringraziare tutti i ragazzi che hanno voluto farmi queste domande. Per me sono segno di interesse nei confronti di quello che, purtroppo, è uno dei mali di oggi. Il messaggio che voglio dare ai ragazzi è “non cadete nella trappola!”. Perché è una trappola e vince sempre lei. A meno che non si creino delle soluzioni dentro di noi per poterla combattere., l’insegnamento che posso dare ai ragazzi per far capire questa cosa, è una frase che mi ha detto il capo della comunità quando sono entrato io: “Cesare, tu hai buttato via anni della tua vita per una polverina che bastava soffiare via e non c’era più! Hai preferito non fare questo e adesso devi recuperare il tempo perso. “. Questo è quello che mi accompagna sempre, tutti i giorni. Io vivo 24 ore al giorno; ogni giorno per 24 ore, mai con un pensiero rivolto tra un mese o due. Ventiquattro ore al giorno e con i piedi per terra, avendo tuttavia delle speranze e dei sogni da coltivare e da realizzare. Io li ho realizzati tutti, tardi, ma ce l’ho fatta!